Her (mediocre) Story
Her Story è un videogioco scritto e diretto da Sam Barlow e disponibile su OSX, Windows e iOS. Il gioco è stato accolto da critiche più che favorevoli e ha vinto tanti di quei premi che non ha nemmeno senso elencarli tutti. Per darvi qualche esempio di come se n’è parlato in giro vi copio e incollo da Wikipedia:
“Her Story was well received by critics. […] Critics lauded the game’s narrative. Kimberley Wallace of Game Informer wrote that the “fragmented” delivery of the story “works to its benefit”. She appreciated the subtlety of the narrative, and the ambiguity surrounding the ending. Polygon’s Megan Farokhmanesh noted that Her Story “nails the dark, voyeuristic nature of true crime”. Chris Schilling of The Daily Telegraph was impressed by the coherence of the narrative, “even when presented out of order”. […]
The unconventional gameplay mechanics also received positive remarks from critics. Destructoid’s Laura Kate Dale felt that the game’s pacing and structure assisted the narrative, and Wallace of Game Informer found that making a connection between key points in the narrative was entertaining.”
Alcune di queste recensioni io le ho lette, ho visto il gioco entrare in molte delle liste dei migliori giochi del 2015 e ho ascoltato tanti podcast in cui se ne esaltavano le qualità. Qualche giorno fa ho trovato il tempo di giocare ad Her Story e questo è quello che ne penso.
Da qui in poi iniziano gli SPOILER!
Il gioco, dovrebbe ormai essere noto a tutti, ha una meccanica davvero semplice. Si ha di fronte il desktop di un vecchio PC e l’utente può accedere ad un database di videoregistrazioni. Per accedere ai video bisogna inserire delle chiavi di ricerca, ogni richiesta al database permette di estrarre solo cinque file video. Per accedere a tutti il database bisogna perciò trovare le chiavi di ricerca corrette.
Nei video che ci vengono mostrati c’è una donna che parla ad un intervistatore che non viene mai inquadrato. La donna si chiama Hannah Smith e, capiamo dopo un po’, è stata interrogata perché suo marito Simon è scomparso. Scopriamo che Hannah è stata intervistat più volte dalla polizia e perciò i video la ritraggono in sei momenti diversi. In uno di questi video, nell’unico colpo di scena del gioco, scopriamo che in realtà a parlare sono due persone diverse, Hannah ha infatti una sorella gemella di nome Eve.
Her Story è un videogioco in cui la parte narrativa è chiaramente preponderante, è l’ennesimo tentativo di fare narrazione usando meccaniche non lineari e interattive. Però è un gioco che cerca di essere originale e autoriale. Sam Barlow vuole fare l’autore, vuole raccontarci una storia profonda, piena di metafore e significati, vuole stupirci e mostrarci che anche il videogioco può essere Arte. Quello che ne viene fuori è una robetta mediocre e pretenziosa, al limite del kitsch.
Tutto è banale e già visto. La struttura “fragmented” della narrazione è un espediente che si era già visto in film (Memento di Christopher Nolan, Primer di Shane Carruth ) o in fumetti (Building Stories di Chris Ware). Il colpo di scena dei gemelli è uno topos letterario tanto antico che è perfino difficile risalire alla sua origine.
L’autore riempe poi la storia di metafore abusate e simbologie degne del diario segreto di un adolescente emo. Simon lavora in una fabbrica di vetri ed è specializzato nella creazione di specchi: il doppio, i gemelli, lo specchio. La favola preferita da Hannah ed Eve è Raperonzolo: Eve era nascosta in soffitta, prigioniera della strega cattiva che in realtà era la sorella. Ma si può essere così didascalici e banali?
La recitazione e la messa in scena è a livello di film di serie B. Capisco che non ci si possa attendere un’interpretazione da Oscar da Viva Seifert, l’attrice che interpreta Eve ed Hannah, ma qua siamo al limite del dilettantesco. Per fare un esempio, in uno dei video Eve/Hannah ha una maglietta che le lascia scoperta le braccia. Su un braccio si nota un tatuaggio, questo ha un ruolo nella narrazione perché in un altro video si è scoperto che solo una delle sorelle è tatuata. L’autore vuole che noi vediamo quel tatuaggio, secondo lui è un pezzo importante della sua costruzione e perciò Eve/Hannah non solo deve avere le braccia scoperte, ma la sua attrice deve essere in una posa del tutto innaturale in modo da farci vedere quel maledetto tatuaggio. E non fa niente che tutta la recitazione del corpo di Viva Seifert ne soffra, quel tatuaggio ci deve essere sbattuto in faccia.
Per valutare Her Story bisogna analizzarlo per quello che vuole essere, uno strumento narrativo piuttosto che è un gioco. L’autore vuole raccontarci una storia, non vuole farci giocare. Barlow cerca di essere Hitchcock non Miyamoto. E nonostante lo si sia analizzato solo dal punto di vista di “film interattivo”, sorvolando cioè sulla sua banalissima meccanica di gioco, i difetti di Her Story sono tanto evidenti e grossolani che sembra quasi impossibile che la critica lo abbia accolto con tanto clamore.
A mio avviso le critiche positive e quasi unanimi ad Her Story rappresentano in maniera plastica lo stato in cui ci troviamo nel processo di evoluzione del mezzo videogioco: una scena artistica in fermento, tanti talenti che stanno sbocciando, ma ancora nessun vero Maestro che abbia creato un’opera seminale che possa reggere al confronto con altri strumenti narrativi più maturi quali cinema, letteratura, musica, fumetti. Basterà attendere, prima o poi il “masterpiece” arriverà e mostrerà a tutti noi la via da seguire. Ma nel frattempo c’è bisogno di una critica militante un po’ più attenta e attrezzata, qualcuno che abbia voglia di misurare un videogioco usando strumenti complessi e ambiziosi, qualcuno che abbia il coraggio di dire che “questo videogioco è divertente, ma leggere Proust è un’altra cosa”.
Solo con una critica severa, “adulta” e militante, prima o poi riusciremo a scovare il nostro Stanley Kubrick videoludico, il narratore in grado di usare il mezzo per poter raccontare storie.
Lasciate perdere Her Story e leggetevi un fumetto di Chris Ware, che è meglio.
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