Metal Gear Solid: The Phantom Pain
Il fatto certo è che The Phantom Pain sembra avere tutte le carte in regola per diventare il miglior Metal Gear di sempre, perché se meccaniche e dinamiche di Ground Zeroes saranno applicate ad un mondo di gioco più esteso, al ciclo giorno/notte e rifinite con quegli elementi surreali che fanno parte del concetto di “videogioco” tipico del Sol Levante (Scatoloni? Riviste? Fulton? Li amo!), possiamo aspettarci un vero e proprio capolavoro.
Con queste parole chiudevo la recensione di Metal Gear Solid: Ground Zeroes , pare proprio che non mi fossi sbagliato. Questa sarebbe dovuta essere una recensione al day one, essendo ormai fuori tempo massimo (manco poco! ndTMO) ho aggiunto altre considerazioni sull’ultimo lavoro di Kojima.
Metal Gear Solid: The Phantom Pain prende il gameplay di Ground Zeroes e lo porta nell’ Afghanistan di inizio anni ottanta, quando cioè le truppe Sovietiche aiutarono la Repubblica Democratica dell’Afghanistan a spegnere la rivolta dei mujaheddin.
Ovviamente, essendo in piena guerra fredda, le nazioni occidentali non esitarono ad appoggiare i guerriglieri rivoluzionari, che lottavano contro la forza appoggiata, appunto, dall’Unione Sovietica.
Kojima tesse la trama del suo ultimo (in tutti i sensi) capitolo di MGS in questo contesto storico, e nella timeline del gioco si piazza subito dopo a Ground Zeroes (ma va :V) e dunque dopo i fatti di Snake Eater e Peace (“due maroni” ndTMO) Walker.
Non sto qui a riassumere, tanto se ne aveste bisogno sono disponibili tantissime “cassette” da ascoltare ingame che fanno un sunto degli eventi dall’inizio alla fine, dettagliando anche vari avvenimenti di cui chi conosce a menadito la trama serviranno giusto a rinfrescare la memoria. Il bello è che queste cassette si possono ascoltare anche mentre si gioca, magari girando per l’enorme mappa in modalità “open world”.
Motore Volpe
La prima cosa che impressiona di Metal Gear Solid V:The Phantom Pain è sicuramente la grafica. Non c’è dubbio che sia il titolo migliore uscito sulle console di “nuova” generazione: 60fps stabili e una cura per i dettagli che definire maniacale è riduttivo. I modelli dei personaggi principali sono stratosferici, quelli delle armi anche di più. La gestione delle luci, degli effetti (anche particellari) sono fenomenali. Si rimane a bocca aperta. Sicuramente le ambientazioni desertiche ed esotiche aiutano a tenere alto il livello della qualità, ma non parlerei di vero e proprio “trick”, in quanto dal naso all’orizzonte la qualità visiva è la stessa.
! Open World
E’ la grandissima novità che porta The Phantom Pain e Kojima l’ha studiata benissimo.
Nessun radar a schermo e nessuna mimetica da cambiare in base alla location: muniti di binocolo bisogna scrutare l’area di azione e marcare le posizioni dei soldati nemici, in modo da preparare al meglio l’assalto. Per avere notizie utili sul completamento della missione bisogna interrogare i nemici arrivandogli alle spalle e immobilizzandoli. L’azione in questione non serve solo ad avere informazioni sugli obbiettivi della missione, anche per conoscere la posizione di eventuali oggetti intorno l’area, quella di altri soldati nemici e/o le caratteristiche di questi ultimi.
E’ possibile girare liberamente per la mappa (magari aspettando il tramonto per agevolare un’infiltrazione) per raccogliere materiali, erbe….armi,soldati ed animali!
Tutte queste cose servono a ricostruire “l’esercito della libertà” fondato da Snake e Miller ma distrutto da [omissis] in Ground Zeroes. La ricostruzione avviene attraverso un classico sistema da gestionale/crafting, con tanto di consumo di materiali, tempi di costruzione, addestramento e altre cosette del genere.
Le caratteristiche da gestionale non sono dunque fine a se stesse, diventano importanti per lo sviluppo di armamenti e oggetti per il Boss&Co. anche se devo ammettere che la necessità di studiare l’equipaggiamento ed il partner in base alla missione non si è mai presentata fino a metà (circa) delle missioni principali. Sì, Snake può essere accompagnato da un partner in ogni missione, ognuno con caratteristiche diverse.
Attenzione però: non si tratta solo di potenziare Snake, ma di costruire, ingrandire e potenziare una base per agevolare lo sviluppo e l’ottenimento di risorse da re-investire. Estraendo soldati nemici durante le missioni metterete insieme un vero e proprio esercito da dispiegare in giro per il mondo per recuperare materiali e/o ottenere GMP (valuta del gioco), oppure è possibile sostituire Snake nelle missioni con i soldati più valorosi. Ma non è finita qui: i soldati dovranno anche difendere la base da invasioni di altri gruppi militari privati nelle missioni F.O.B. (Forward Operating Base).
Le missioni F.O.B. sono una modalità di gioco online asincrono, dove ogni giocatore può invadere le basi di altri giocatori sparsi per il mondo, rubando personale e materiali. Con le F.O.B. Konami ha inserito anche un sistema di microtransizioni che serve a completare più velocemente la costruzione della base o a stipulare “assicurazioni” per esse: in questo caso se un giocatore avversario riuscisse a raggiungere l’obbiettivo nella vostra base, verrà restituito tutto il materiale e i soldati rubati. Tra i tantissimi oggetti sviluppabili ci sono anche (ovviamente) quelli di difesa della Base, che verranno sbloccati insieme alle suddette missioni.
Il miglior Metal Gear della serie?
Nel complesso probabilmente si. The Phantom Pain risulta molto più tattico e “simulativo” del miglior capitolo della serie universalmente riconosciuto (Snake Eater), inoltre la struttura open world regala ore e ore di gioco giocato (almeno 100 ore per completarlo al 100%) e quasi mai ci si annoia (Praise the Fulton), ma dal lato della storia e della narrazione manca qualcosa. Avrei voluto scrivere “qualcosa non torna”, probabilmente è sbagliato in quanto lo sviluppo della trama sembra aver subito pesantemente ( in neretto non a caso ndR) le vicende che hanno visto protagonisti Konami e Kojima. Dopo una prima parte che mette tantissima carne al fuoco, si passa ad una seconda in cui gli eventi, i personaggi e la storia scivolano via senza grande clamore, fatta eccezione per un finale un po’ forzato ma con WTF! assicurato.
Anche la scelta di suddividere le missioni come fossero episodi da serie TV sembra più una scusa per far apparire il nome “Hideo Kojima” molte volte a schermo anzichè un espediente narrativo.
Non è una recensione…
Sappiate che il voto sarebbe stato
8.5
Confesso che fino a metà della seconda parte gli avrei dato almeno 9, però si arriva ad un punto in cui vengono riproposte missioni già fatte ma in diverse modalità: massima furtività (al primo allarme dei nemici finisce la missione) o estrema (si parte senza alcun equipaggiamento e bisogna rimediare tutto l’occorrente sul campo), e l’unico modo per avanzare è portarle a termine oppure fare le missioni secondarie fino a che non si viene richiamati alla Mother Base. E’ una cosa che mi ha un po’ infastidito e che sa molto di “tappabuchi” quando in realtà tra missioni secondarie e principali ci sarebbe stato comunque tantissimo da giocare. Una scelta che non mi sembra avere molto senso, se non quello di spingere il giocatore a provare il massimo che il gioco ha da offrire in termini di gameplay, il che non è un male ma, forse, andava proposto in maniera differente.
In tutti i casi, Metal Gear Solid V: the Phantom Pain è un gioco che occupa di sicuro il podio dei migliori giochi usciti per l’attuale generazione di console, quindi è da giocare, anche solo per godere dell’immenso lavoro tecnico e artistico del vecchio team di Kojima, nonchè per chiudere il cerchio sulla trama globale della serie.
Abbiamo provato la versione Ps4, io sto giocando le versioni PC a sprazzi grazie a Prophet via Steam, però una cosa è sicura: il fox engine è uno dei migliori motori grafici multipiattaforma mai realizzati, che stiate giocando sulle console di vecchia generazione o su piattaforme attuali, una cura del genere non la troverete mai in nessun altra produzione.
Come si fa a mandare a cagare un team del genere è veramente fuori da ogni logica umana.
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