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Broken Age – Act 2

Il secondo atto del gioco che ha rivoluzionato Kickstarter

Broken Age – Act 2

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A distanza di un anno e qualche mese dal rilascio della prima parte, l’avventura punta e clicca che ha visto Tim Schafer e Double Fine raccogliere oltre 3 milioni di dollari in quella che è stata la campagna Kickstarter che ha probabilmente trascinato molti sviluppatori a seguirne l’esempio, è finalmente completa.

Abbiamo già parlato del primo atto qui su Beavers. Avviso che ci sono spoiler del primo atto, ma cercherò di evitarne quanti più possibile circa il secondo.

Ho preferito ricominciare Broken Age dall’inizio, se non altro perché ero sicuro che una rinfrescata alla memoria mi avrebbe aiutato non solo a seguire meglio il filo narrativo, ma probabilmente mi avrebbe anche reso più facile la vita. Infatti così è stato per qualche puzzle più semplice.

Pensando a Broken Age come ad un titolo unico, avere piccoli puzzle con soluzioni simili, ma distanti nel gioco è una buona pratica delle vecchie avventure punta e clicca.

Avevamo lasciato Vella e Shay mentre si incontravano per la prima volta e si scambiavano di posto: Vella finiva sulla parzialmente distrutta Bassinostra, Shay rimaneva confinato sulle spiagge di Shellmound assieme a suo padre e Alex. Questo momento, oltre a coincidere con la fine del primo atto, rappresenta il punto di svolta di tutta la vicenda.

Infatti, sia i protagonisti della vicenda, sia noi che la portavamo avanti, abbiamo scoperto di non avere alcuna idea di cosa stesse succedendo.

L’armonia degli opposti

I due atti di Broken Age mi sono sembrati come costruiti in maniera diametralmente opposta tra loro. Questa cosa si nota contemporaneamente nella tipologia di puzzle e nella rispettiva atmosfera presenti in ciascun atto.

Il fatto che questi due fattori vadano di pari passo è una cosa che mi è piaciuta molto.

Infatti, se li metto a confronto, il primo atto è ovattato da una coltre onirica. Vella, determinata a far fuori il terribile Mog Chotra, fa venir fuori il lato guerriero del ramo Beastender della sua famiglia. Visita un villaggio costruito sulle nuvole e fa vomitare alberi parlanti. Shay, costretto dal computer-madre a vivere un’eterna infanzia, conoscendo Marek è convinto di avere finalmente una vera avventura da intraprendere. Pur non lasciando mai l’astronave Bassinostra, eternamente gioiosa, farà di tutto pur di aiutare quelle che lui crede essere delle vite in pericolo.

Nel primo atto tutto sembra leggero, poetico e spensierato, nonostante il disagio provato dai due protagonisti che vogliono, ognuno a modo suo, uscire fuori dagli schemi che gli sono stati imposti, manifestando dei sani dubbi sul modo in cui “devono andare le cose” nella realtà che li circonda.

Tutti i puzzle presenti in questo atto sono pressocché semplici da risolvere. Spesso ai personaggi basta chiedere per ricevere un oggetto che serve o che servirà per risolvere un puzzle, mentre per quasi tutto il resto basta usare gli oggetti giusti al posto giusto al momento giusto.

Quest’atmosfera, più o meno leggera, comincia a dissolversi, più o meno bruscamente, alla fine del primo atto, quando Shay scopre che non si trovava affatto su un’astronave lanciata nello spazio alla ricerca di un posto adatto per far vivere la propria gente, ma su quello che Vella e tutti gli abitanti del mondo “al di qua” della Plague Dam credevano essere Mog Chotra.

Assieme a Shay, sulle spiagge di Shellmound, ci saranno suo padre (che vedrà “dal vivo” dopo chissà quanto tempo) e Alex, l’altro “inviato” del Project Dandelion, con un’infanzia identica a quella di Shay e che, dopo essere rimasto in stasi per 300 anni, ha aiutato Vella ad abbattere Mog Chotra. E mentre l’astronave\Mog Chotra prende improvvisamente il volo e si allontana, l’imperativo adesso è raggiungerla e capire cosa stia succedendo. Per farlo, Alex deve riparare la propria “astronave” e questo costituirà per intero la missione di Shay.

Vella, invece, trovandosi “nella pancia del mostro”, seppur stupita e incuriosita, vuole andare fino in fondo alla questione, scoprire chi è che muove le redini e ridurlo come ha ridotto “l’astronave”. Fiera di tutto quello che finora ha fatto a pezzi, con il suo nuovo amico Dutch, il coltello parlante, pian piano comunque prenderà coscienza di chi abitasse realmente il mostro e perché. Sarà lei, prima degli altri, a conoscere cosa si nasconde dietro tutta questa enorme messinscena.

Sia Vella che Shay finiranno per scoprire di più circa la storia dell’altro interagendo con lo spazio a propria disposizione. Lui parlando con gli altri personaggi che l’hanno incontrata, lei invece “rovistando” tra le sue cose. Pur non entrando mai direttamente in contatto tra loro, ad un certo punto ci sarà praticamente impossibile non sfruttare ciò che i due hanno rispettivamente a disposizione in modo da aiutare l’altro nel risolvere alcuni puzzle.

E, a proposito di puzzle, in questo atto faranno la comparsa veri e propri “enigmi”. Odiati da alcuni, amati da altri, gli enigmi che dovremo risolvere spesso non fanno affidamento su oggetti da usare, ma piuttosto su qualcosa che abbiamo visto o sentito o sul nostro semplice ingegno.

Il consiglio è: munitevi di carta e penna, come ai vecchi tempi.

Nessuno di questi enigmi è irrisolvibile, comunque. Non ci sono “punti di non ritorno”. Tuttavia spesso si rischia di dover fare avanti e indietro lungo i vari luoghi che abbiamo a disposizione, semplicemente perché abbiamo capito male o abbiamo sbagliato qualcosa o semplicemente non abbiamo notato un particolare. Volevamo la old school, no?

Quello che per me ha rappresentato un po’ un fastidio è che per alcuni enigmi questo fare avanti e indietro era agevolato (chi si ricorda quando Guybrush doveva riportare la radice ai cannibali e il gioco ci risparmiava il viaggio?), per altri no. Ancora, alcuni puzzle hanno una sorta di hint system interno, altri no, e il risultato è stato quello di “abituarmi male”. Infatti, questa cattiva abitudine mi ha fatto completamente dimenticare un particolare importante per un puzzle e mi ci è voluto un po’ per venirne a capo.

Potrei sbagliarmi, ma mi è parso di vedere un po’ di trambusto su Twitter a riguardo, per cui chissà, magari alcune cose potrebbero essere risolte con degli update.

La differenza, quindi, della tipologia di puzzle tra i due atti è evidente. Gli enigmi del secondo atto sono in buona parte impegnativi, o almeno più difficili del solito. Talvolta possono risultare frustranti ma sicuramente sono più difficili di quelli del primo atto.

Ancora: nel mondo ovattato e surreale tutto era semplice, nel mondo “reale” per ottenere qualcosa bisogna lavorare sodo.

Qualità, più che quantità

In questo atto, non si scoprono luoghi o personaggi nuovi, salvo qualche piccola eccezione. Tuttavia si conosceranno meglio i personaggi che già c’erano prima, nessuno escluso, fosse anche soltanto per un piccolo dettaglio.

I dialoghi sono, come sempre, talvolta poetici, talvolta divertenti, quasi sempre speciali. Il contributo dato dai doppiatori è essenziale ai fini della credibilità dei personaggi. Una credibilità che è accompagnata benissimo dallo stile grafico (immutato).

Salvo qualche piccolo glitch grafico che ho incontrato avanti nel gioco, tutto mi è risultato estremamente curato. La musica di Peter McConnell, oltretutto, fa come sempre da piacevole sfondo a tutti gli avvenimenti del gioco.

Una favola “semplice” e moderna [SPOILER]

Scorrendo i titoli di coda, ho immaginato che Broken Age fosse stato concepito come una favola. Una favola “semplice” e moderna.

Quasi tutti gli interrogativi che rimangono aperti durante il gameplay, vengono assorbiti dal più tradizionale dei lieto fine. In una favola, probabilmente, il male non ha ragione di essere analizzato in tutte le sue sfumature, quando poi c’è il bene che dimostra di portare così tante soddisfazioni tutte insieme.

Nonostante i dubbi dei protagonisti e le ragioni degli antagonisti, nessuno perde mai effettivamente quella luce di speranza che mi è stata trasmessa direttamente, lasciandomi consapevole che la mia missione avrebbe avuto comunque successo.

I più curiosi di noi, però, consci di questa consapevolezza, probabilmente avrebbero voluto più dettagli su certi personaggi o certi retroscena. Ma voglio rimanere dell’idea che si tratti di una favola.

Ad una favola non si fanno troppe domande, dopo averne imparata la morale.

Conclusione

Il mio parere, del tutto personale, resta simile a quello che ho espresso per il primo episodio. Infatti non me la sento di considerarli due prodotti separati. Il mio è un giudizio complessivo.

Pur non essendo probabilmente “il miglior gioco d’avventura di tutti i tempi”, da backer mi sento abbastanza soddisfatto. Oltretutto, non è che sia stato sviluppato apposta per me.

Ad essere sincero, forse neanche saprei riconoscerlo se lo incontrassi, il miglior gioco d’avventura di tutti i tempi, ma comunque…

Detto questo, ritengo (soprattutto adesso che è completo) sia un gioco che ogni appassionato al genere dovrebbe almeno provare e che sia perfetto per chi non ha mai giocato ad un’avventura punta e clicca prima d’ora.

Unendo, alla cura di certi dettagli, tutti “gli opposti” (la semplicità del primo atto e la difficoltà del secondo, le due diverse atmosfere, ecc.) presenti nel gioco, credo che Broken Age possa facilmente rappresentare un’avventura “simbolo”, racchiudendo una buona parte di quello che questo genere di giochi ha avuto da offrire fino ad oggi.

La bravura di Double Fine è stata quella di riuscire a sviluppare qualcosa che si distinguesse per il suo stile. Se continuasse a produrre avventure punta e clicca, secondo me, riuscirebbe benissimo a ritagliarsi uno spazio “personale” come già Wadjet Eye Games e Daedalic Entertainment sono riuscite a fare, senza per questo entrare in competizione diretta tra loro.

8.5

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Er Pupo Says

Non ho finanziato il progetto all’epoca. Il tempo di iscrivermi e capire come funzionava Kickstarter che DoubleFine aveva già racimolato tutto il possibile. A quel punto ho aspettato l’uscita e l’ho comprato. E’ ovvio che Schafer e co. volevano raccontare una favola, e tutte le scelte di design sono li a dimostrarlo. Come in ogni favola c’è l’inizio (Atto 1) che racconta di posti incantati e personaggi bizzarri, poi arrivano i “problemi” e relativa risoluzione (atto 2). Occhio che il termine “favola” non è scelto a caso.

Sono tanti gli spunti presi dai vecchi giochi LucasArts ideati da Schafer, ed emergono soprattutto nel secondo atto, dove i puzzle si fanno un po’ più difficili. Anche in questo caso, come già successo con un altro grande ritorno di questo genere, la divisione in capitoli suona un po’ come “rieducazione”: la prima parte introduce storia e sistema di gioco, la seconda entra nel vivo.
Ora, c’è da dire che mi aspettavo qualcosina in più dal secondo atto, sia per quel che riguarda la storia ma anche dai puzzle, perchè se è vero che nella seconda e ultima parte questi sono un po’ più difficili, è altrettanto vero che almeno un terzo di essi è legato ai simpaticissimi Hexipal (sfido chiunque a non volerne uno dopo aver completato il gioco) e avrei apprezzato un po’ più di varietà, ma mi rendo anche conto che BrokenAge doveva essere (ed è) un gioco “per tutti”, pure per giocatori da smartphone. In questo senso fa benissimo il suo lavoro, anche per come è “impacchettato”. Lo stile da cartone animato con colori pastello, doppiaggio e OST meravigliosi. E’ fiabesco, appunto. Un’ altra ottima avventura grafica che speriamo crei nuovi fan del genere a cui l’industria dovrà dare importanza.

the TMO Says

Visto che ci sono voluti anni per finire questo gioco c’ho voluto anni pure per colorare la striscia! :V

Un articolo di LostTrainDude

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Sono videogiocatore dai tempi del seggiolone (ero l'orgoglio della famiglia, riuscendo a battere i primi livelli di R-Type su Amiga a 2 anni) e appassionato di musica e scrittura dai tempi del liceo. Sono uno a cui piace fare un sacco di cose, il problema è che mi piace farle contemporaneamente. Ho conosciuto TheTMO prima per sentito dire (definito "la persona con più videogiochi che abbia mai visto") e poi, un paio d'anni dopo, per visto fare. Da quella volta che giocammo uno contro l'altro a Quoridor, se oggi sono qui a scrivere su Beavers e se siamo finiti a partecipare insieme alle Global Game Jam con la Lonely Crew, è probabilmente perché quella partita la persi. Da lì ho cominciato a condividere grandi avventure esilaranti su Beavers assieme ad Oink, Er'Pupo e Prophet che fanno di questo uno dei posti più belli e divertenti nei quali mi sia trovato a stare da sempre.

14 Maggio 2015
Categoria: Comics, Review

Commenti

5 risposte a “Broken Age – Act 2”

  1. asavaris ha detto:

    Broken Age mi è piaciuto tanto da diventare una delle mie avventure preferite. Lo stesso sapore e stile di quelle della Lucas Arts ma con dei gradevolissimi tocchi in più, come le curatissime animazioni, zoom in-out. Eccezionale il comparto artistico. Ho letto pessime recensioni e pareri su ACT2. Personalmente ringrazio i bakers e la Double Fine per questa bellissima esperienza.

  2. Stefano De Luca ha detto:

    Cresciuto anche io a pane e Monkey Island. “Broken Age” mi è piaciuto tantissimo, una bellissima sorpresa. Non dico che sia al livello dei grandi classici, ma trovo sia un titolo molto sottovalutato, complice forse i casini combinati da Schafer & Co. coi soldi raccolti su Kickstarter (pare li abbiano sprecati o spesi male). Spererò per sempre in un Terzo Atto, in quanto quel finale ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Per il resto, una gioia per gli occhi, doppiaggio ottimo, un gran bel gioco.

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