Scourge: Outbreak
Capita spesso di sentir dire che non bisogna giudicare un libro dalla sua copertina. Meno spesso, invece, capita di sentire che bisogna addirittura arrivare al terzo-quarto capitolo prima di farlo. Scourge: Outbreak appartiene con più probabilità a quest’ultima.
Si tratta di un “pesante” sparatutto sci-fi in terza persona che prende in prestito molte meccaniche da illustri predecessori e contemporanei quali Gears of War e Mass Effect. In sostanza, quindi, non bisogna aspettarsi granché di nuovo. Ma perché ho detto pesante e soprattutto perché l’ho messo tra virgolette? Tra un po’ ci arriviamo.
Storia
Riassumere in breve quale sia la trama di questo titolo non è proprio semplicissimo, dal momento che è tutto molto (forse troppo) condensato in un briefing pre-missione.
L’Echo Squad, un team di mercenari, è stato assoldato dalla Tarn Initiative per distruggere la Nogari Corporation, accusata di aver diffuso una “piaga” che negli ultimi anni ha mietuto parecchie vittime. La piaga in questione, come è ormai consuetudine videoludica, sembra modificare geneticamente gli infetti trasformandoli in creature mostruose.
A fornire informazioni che proverebbero la colpevolezza della Nogari è il Dr. Reisbeck, un infiltrato che avrebbe individuato dei patogeni di origine aliena su di un meteorite in possesso della malvagia corporazione e che corrisponderebbero ai patogeni trovati sugli infetti. Questi stessi patogeni verrebbero utilizzati dalla Nogari per sviluppare una nuova formula di Ambrosia, una sostanza sintetica di cui anche l’Echo Squad fa uso per le proprie tute e per alcuni dei propri poteri.
La missione dell’Echo Squad è quella di: infiltrarsi nella base Nogari, trovare il meteorite e prenderne un campione, salvare Reisbeck e ricongiungersi con la Alpha Squad e attendere l’estrazione dall’isola.
Ognuno dei quattro personaggi, poi, ha una propria storyline spezzettata e distribuita in diverse parti del gioco.
Gameplay
Come detto precedentemente, il gioco non offre spunti molto innovativi ad un genere in costante evoluzione come quello degli sparatutto in terza persona:
- Siamo al comando di un team di quattro persone alle quali, all’occasione, possiamo impartire ordini specifici.
- C’è molto da sparare e da ripararsi dietro agli oggetti, dal momento che quasi sempre ci saranno ondate di avversari appostate nei posti più svariati dell’area di combattimento nella quale ci troviamo.
- Ogni volta che avremo fatto fuori un nemico riceveremo dei punti esperienza in base anche al modo in cui l’abbiamo fatto.
- Possiamo fare uso di scudi e bombe energetiche alimentate dall’Ambrosia, che dovremo ricaricare restando vicino ad appositi barili sparsi qui e là lungo il nostro percorso.
- Per sapere in che condizioni di salute versiamo, basta osservare lo schermo. E’ abbastanza riconoscibile il tipo di feedback visivo che inconsciamente ci suggerirà di ripararci e aspettare che si rimarginino le nostre ferite.
- Quando saremo messi fuori combattimento possiamo sempre sperare che qualcuno del nostro team venga a curarci prima che sia troppo tardi. Ovviamente lo stesso discorso vale anche per i nostri alleati.
Sorretto da queste regole già rodate dal genere, il gioco mi è parso diventare un po’ ripetitivo dopo troppo poco tempo. Ho avuto l’impressione che si tratti di un titolo che è molto più interessante se giocato in multiplayer.
Le talvolta consecutive ondate di nemici, pur essendo noi aiutati da un sistema di mira assistita appena accennato, diventano facilmente noiose da decimare. Per ravvivare la situazione, più volte ho preferito immolare il mio personaggio in scontri corpo a corpo più che a colpi d’arma da fuoco. Oltretutto si finisce spesso K.O. (ed è anche più facile se non spari ma picchi), questo è vero, ma quasi sempre si viene salvati da questo o quel compagno che altrimenti resterebbe muto (sebbene non immobile) per buona parte del tempo. Infatti tra i vari personaggi, se non durante le brevi interazioni tra un obiettivo e l’altro della missione, non c’è grande dialogo.
Se muori, però, devi fare i conti con il fatto che i checkpoint non sono molto vicini tra loro e la cosa può destare un po’ di fastidio.
Una piccola pecca, per me, è rappresentata dalla quasi totale mancanza di suggerimenti che ti ricordino il tasto da premere o la cosa da fare in determinate occasioni, difatto portandoti a sperare di ricordarti a che azione corrisponde ogni tasto. Ma potrebbe benissimo essere un mio difetto :V
Due pesi e due misure
Il gioco è stato realizzato utilizzando l’Unreal Engine ma abbastanza sicuramente mi viene da dire che non ne rappresenta lo “stato dell’arte”: i personaggi sembrano “pesanti” nel vero senso della parola, molto meno “agili”, per esempio, di quel vitello bardato di Marcus Fenix in Gears of War. I movimenti (tanto quelli degli alleati quanto quelli dei nemici) risultano essere un po’ plastici, dipingendo il gioco non proprio come un titolo del 2013 e, di tanto in tanto, bug grafici di diverso tipo rovinano un po’ l’immersione.
Bello dentro
Scourge: Outbreak mostra di più le sue capacità a chi sa resistere a tutto questo e supera la prima – lenta – ora di gioco. È tanto, più o meno, che ci vuole per prendere dimestichezza con i comandi e le sue dinamiche. Se prima ho detto che quasi sicuramente si tratta di un titolo molto più divertente da giocare in multiplayer, non è necessario dare per scontato che la modalità single player non possa dare qualche ora di divertimento. Poi costa 800 MSP :V
Non so perchè, ma la vignetta me fa scassare di brutto :D
Perchè è la triste verità ! :V
I due che ho recensito io non erano poi tanto male :D
Sarò fortunato nel sorteggio :D
Ritenetevi fortunati.
#Flashback #Traumi